L’allarme inascoltato del teologo Oscar Cullmann; più attuale che mai!

Compatibilità! Non proprio.

Quando nel 1956 questo opuscolo fu scritto mise in subbuglio il mondo teologico ed ecclesiale del tempo. Lo scossone fu traumatico e a buon ragione direi; “buono” dico, perchè in realtà era il risultato che voleva ottenere il suo autore: il grande teologo Oscar Cullmann. Oggi lo si può leggere anche in italiano grazie alla paideia che lo ha reso disponibile per i lettori italiani oramai dagli anni ottanta.

Allarme ma a buon ragione!

Cullmann si lamentò dell’incompatibiltà di ciò che sentiva nei corridoi delle accademie teologiche e predicare dai pulpiti con quello che credeva da sempre il cristianesimo biblico: si era barattata la risurrezione del corpo a favore di una esistenza disincarnata che si avvicinava paurosamente all’idea greca dell’immortalità dell’anima.

Chiariamo

Cullmann tratteggia in poche pagine quello che il nuovo testamento insegna coerentemente sull’aldilà e quello che Dio attuò realmente alla pasqua cristiana, e contrappone il concetto di morte insegnato dalla Bibbia con quello creduto da Socrate e quindi da Platone nel suo Fedone, e di entrambi analizza le aspettative oltre la morte, giustamente incompatibili: Per la bibbia, e in particolare per il nuovo testamento, la morte non è nulla di buono (Paolo la chiamerà “nemica”) ma una condizione provvisoria dove il credente attende in una situazione imperfetta l’ultimo giorno quando otterrà il corpo glorioso (Paolo chiamerà questo stato “nudità” in 2 Corinzi 5); in barba a l’antropologia biblica, nella mentalità greca, al contario, la morte viene vista come una amica che libera dalla prigione corporale e ci lascia finalmente in uno stato di beatitudine eterna. A buon ragione l’autore prende le mosse da ciò che accadde a Gesù Cristo, postulando che il lettore capirà che in Cristo e alla pasqua, Dio rivela il piano eterno per ogni credente: che è una esistenza somatica e non spettrale.

Nulla di quello che già non sai

L’autore non nega affatto una forma transitoria ed eterea alla morte né tantomeno lo stato intermedio dei credenti ed un riposo cosciente in Cristo (di gran lunga migliore di quello terreno) ma la rifiuta come la migliore e definitiva speranza escatologica, anzi arriva a definirlo, come abbiamo detto poc’anzi, uno stato <<imperfetto>> in attesa della vera speranza cristiana: la gloriosa risurrezione somatica, ovvero del corpo, ad imitazione di colui che fu il “primogenito dai morti”. Chi ha studiato teologia (sic! sul serio) non ha difficoltà a capire quanto ortodosse e genuine siano queste affermazioni ma con sdegno devo confessare che Cullamnn aveva ragione e lo si può facilmente intuire non solo per la poca attenzione che questo tema occupa in sede teologica ma ancor di più lo si noterà dalle omelie ecclesiali svuotate oramai del tema principale e fondamentale del cristianesimo primitivo, tema per la quale in passato si era giudicati eretici o ortodossi ma che adesso è passato in sordina.

Il Cullmann chiedeva al tempo: “provate a chiedere ad un credente quale sia la speranza cristiana oltre alla morte; la maggioranza vi risponderà: l’immortalità dell’anima!”. Le cose non erano cambiate quando lessi per la prima volta questo libricino (era il 1998) né tantomeno lo sono adesso nel 2018. Si continua a confondere bellamente il “soma” con la “psiché”; Cristo con Socrate; il nuovo testamento con il fedone di Platone.

Rifletto e concludo

Non è certo solo un problema dei nostri giorni! E chi conosce la storia della chiesa antica sa che l’attacco alla dottrina della risurrezione del corpo fu il bersaglio delle prime eresie. Si fa presto a dimenticare Tertulliano e i suoi scritti, e poi tutti gli altri padri della chiesa antica (ad eccezione di Origene), o ancora prima i canonici Paolo o l’autore delle epistole giovanee che sferrarono i primi attacchi al proto-gnosticismo o meglio a quel docetismo germinale, e tuonarono contro queste eresie che spogliavano la Pasqua della sua gloria e il Cristo del suo corpo.

Più vicino ai nostri giorni l’esegeta e teologo T. Wright nel suo tomo dedicato alla risurrezione (in italiano ed. claudiana) lancia lo stesso grido ma in modo più diplomatico e sopratutto più esegetico. Ma la sostanza non cambia e l’allarme rimane! Wright afferma: ‘Persino nelle Omelie pasquali e in quelle funerarie la dottrina cardine della risurrezione del corpo è la grande assente’ (adattamento mio). E chi di noi onestamente può negarlo!

Mentre si avvicina il periodo pasquale è più che mai opportuno sottolineare questo, e confesso che non è casuale questo mio articolo. Il mio vuole essere un piccolo appello a tutti i credenti e in primis a chi ha il privilegio di parola “en ekklesia”, a ricordarsi dell’appello di Cullmann e principalmente di rileggere colui che lo anticipò in questo monito, cioè Paolo di Tarso, quando disse:

“Se dunque Cristo non è risuscitato, vana è la nostra predicazione e vana è la nostra fede” (1 Corinzi 15:14)

L’affermazione di Gesù oramai in odore di gloria riecheggia e grida ancora dopo due millenni: ‘non sono un fantasma!’ (Lc 24:39), quasi a voler anticipare e correggere il pensiero deviato di chi ha dimenticato o di chi non vuol ricordare; denunciare tante chiese odierne che propinano omelie condite di docetismo, o forse un pò come per lamentarsi del delitto di non sapere più cogliere il valore e la forza di questa gloriosa verità.

In quanto a me non vanificherò la mia fede né tantomeno indebolirò la mia predicazione; accetterò ancora una volta il consiglio di Cullmann e mi unirò a quelle sante donne del vangelo che in quella benedetta domenica di due millenni fa inagurarono il più grande e meraviglioso grido della storia: “Il Signore Gesù è veramente risorto!” 

(di Angelo D’Agostino)